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Genitori e figli: quando lo stress trasforma i nostri sentimenti

Cos’è il burnout genitoriale

Si oscilla, così dicono, fra il disagio nel gestire il quotidiano e il desiderio, a tratti ossessivo, di mostrarsi perfetti e sarebbero queste le prime cause di quel fenomeno spesso vissuto in silenzio da un grande numero di genitori: il burnout.

In sintesi, questa parola inglese vuol dire surriscaldamento, proprio come succede al motore di una macchina o stress, parola ormai tristemente comune a tutti, che implica una condizione di adattamento, a volte forzato, a nuove situazioni. Il burnout genitoriale può manifestarsi in varie fasi della vita, non strettamente collegate a un’età particolare dei figli e non è associabile alla depressione, perché la perdita dell’entusiasmo da parte di chi ne soffre è circoscritta solo nell’ambito familiare e genitoriale. Tutto parte, quindi, fra le mura domestiche, una volta smessi i panni da lavoratore o professionista, quando si torna a casa, dopo una lunga giornata di lavoro e ci si trova ad affrontare situazioni dove è ancora e maggiormente richiesto impegno: se è vero che l’amore chiede cura e attenzioni, lo stress deriva dal mancato appuntamento con se stessi, nel momento in cui ci si dimentica che la perfezione non solo non esiste ma non è neanche auspicabile.



Tre allarmi da non sottovalutare

Tre sono i segnali su cui interrogarsi: il primo è la sensazione di esaurimento e compare nell’istante in cui si percepisce l’impegno al di sopra delle proprie forze ed energie. Di seguito, appare il secondo sintomo, cioè il distacco affettivo, che implica un allontanamento emotivo rispetto alle dinamiche dei figli, al loro vissuto e alle vicende che li vedono partecipi. In conclusione, si manifesta il terzo segnale, che induce il genitore a pensare di non essere bravo ‘abbastanza’, di non sentirsi in grado, di non aver desiderato di diventare un padre o una madre di quel genere. Il rischio del perfezionismo, di un’immagine idealizzata di sé, è, dunque, sempre in agguato e arriva per colpire quell’ideale che s’insinua nella mente dei genitori e nel loro desiderio di sentirsi e mostrarsi perfetti agli occhi degli altri. Le conseguenze del burnout si manifestano in forme diverse, possono sfociare in atti di violenza o negligenza verso i figli o in alcuni casi più frequenti, in abitudini ‘tossiche’ per i genitori, come l’abuso di caffeina, di alcool, di gioco d’azzardo o shopping, a seconda della gravità dei casi.

 

Uscirne si può

Per prima cosa, bisogna ascoltarsi: prestare attenzione ai segnali d’allarme è l’azione iniziale da compiere, insieme a convincersi che il tabù, dire che si sta male proprio perché si è genitori, può essere superato chiedendo aiuto a un medico o allo psicologo. Infine, è necessario capire quali siano i fattori di rischio e fare il punto della situazione, concedendosi di guarire e di ritrovare l’equilibrio interiore. E’ consigliato, inoltre, cercare, all’interno della coppia, quelle situazioni emotive e pratiche che favoriscono lo stress, come nel caso in cui uno dei partner sia assente o poco partecipativo o che non si riceva sostegno anche da altri parenti, soprattutto nei momenti di difficoltà.

Se nessuno è al riparo dal burnout, è pur vero che questa fase può essere arginata e risolta, come sostiene il dossier della rivista ‘Mind’ del maggio 2018: «[…] Quando nulla va per il verso giusto e non si ha più la forza di reagire, è difficile guardare al futuro con speranza o trovare le risorse per uscirne. Ma il burnout non è una fase destinata a durare tutta la vita, ha un suo termine naturale. […] Una volta superato il problema, la persona ritroverà le energie e proverà nuovamente la gioia di essere genitore.»




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